Alvin Toffler distingueva tre grandi fasi della produzione di beni, che differiscono tra di esse sulla base dello strumento produttivo prevalente, ma in particolar modo sulla base della quantità di manodopera impiegata nei diversi campi. Da questo discende inevitabilmente una differenza sostanziale nei prodotti al variare delle tre ondate. Se un pomodoro dei tempi della prima rivoluzione industriale, era fatto al 95% da ‘materiale’ agricolo, un pomodoro dei nostri giorni, ma già a partire dalla seconda metà degli anni ‘90, sarà fatto al 90% di informazione. Questo, in termini pratici, significherebbe che quel pomodoro è diverso da ogni altro, se per informazione intendiamo quella componente tramite la quale al pomodoro si associano degli attributi che permettono all’utente di conoscerlo, i quali lo rendono originale, in un’ottica di mera soggettività. In architettura, avviene lo stesso processo, per cui un prodotto attuale dell’architettura non è più banalmente funzionante, non è più manifestazione e ostentazione di una nuova corrente produttiva che la vorrebbe prodotta in serie, l’architettura ha oggi riacquistato i suoi caratteri simbolici, deve informare, raccontare qualcosa, o meglio, raccontarsi. In questo senso, ogni opera architettonica acquista un carattere di unicità, ha la propria natura, i propri perchè, è contestualizzata al luogo in cui sorge, e perciò diversa da ogni altra. Potremmo quindi identificare l’informazione con quella componente di arti applicate che Gropius intendeva unificare ai prodotti dell’industria per conferire originalità agli oggetti?
[l teorema del pomodoro applicato ad un prodotto di architettura.]Allora possiamo dire che l’informazione è la materia prima della nuova architettura? Che nasce da essa e si riduce ad una formalizzazione e manifestazione della stessa? Se nella sfera tradizionale, l’informazione consiste nell’applicazione di una serie di attributi ad un dato, i quali gli danno un significato, possiamo in generale definire l’informazione come l’innestarsi della formazione di un mondo. C’è da riflettere però sulla relazione tra il mondo tradizionale e quello elettronico, e verificare che questo valga sempre. Nel mondo elettronico, in realtà, ogni qual volta inserisco un nuovo elemento che modifica uno stato precedente, esso ha già un significato, non necessita di convenzioni che lo definiscano, perchè viene inserito in quadro convenzionale, è già informazione. Allora in informatica, è tutto informazione, quindi in formazione, come una massa fluida che attende di prendere forma. L’informazione acquista un significato, quindi una forma, nel momento in cui viene legata ad altre tramite relazioni, atte a descrivere un elemento, delineando quindi un modello. Se allora, in un’epoca informatica, ogni ambito del reale è preceduto alla base da modelli informatici, fluidi, dinamici, in evoluzione, perchè tenuti insieme da informazioni legate a loro volta tra esse che variano dipendentemente le une dalle altre, in un range di parametri, la nuova sfida dell’architettura riguarderà il materializzare questi modelli, che vengono da un’informazione, la materia prima di un prodotto dell’architettura.
[L'informazione è la materia prima dell'architettura, Antonino Saggio.]Per capire il significato del ruolo dell’informazione in Architettura, è necessario premettere che a partire dalla metà degli anni ‘50 si è assistito ad un fenomeno di accelerazione generale, che per esempio in economia vedere maggiore rilevanza per il settore terziario. In ambito architettonico, ricordiamo in quegli anni un evento fondamentale di svolta: il concorso per l’Opera Sidney House vinto dall’architetto danese John Utzon. Il progetto per la prima volta rompeva il rapporto tra forma e funzione, che era stato il pilastro dell’architettura moderna. I grandi elementi a guscio in copertura, non avevano relazioni con la funzione, certo si può pensare a motivazioni anche di tipo acustico, ma basti considerare che coprivano anche l’ambiente del ristorante. L’aspetto rivoluzionario, inoltre, voleva richiamare simbolicamente l’elemento idrico, dato il contesto in cui l’edificio sarebbe stato inserito. Il concetto di simbolo, applicato all’architettura, era fortemente negato e rifiutato dai maestri dell’architettura moderna, che promuovevano delle macchine funzionanti e dal significato oggettivo, chiaro, diretto. Il progetto di Utzon invece, comincerà a porre le basi di una rivoluzione del significato dell’architettura che avverrà attorno agli anni ‘90. Stravolgerà il paradigma della comunicazione di un edificio, se il Bauhaus, ESISTE IN QUANTO FUNZIONA, l’ Opera Sidney House, ESISTE IN QUANTO INFORMA. Per comprendere ciò, bisogna tenere in considerazione che sono cambiati i mezzi della comunicazione, non basta più dichiarare il funzionamento di un’opera, serve che comunichi, che trasmetta qualcosa, che non sia un che di oggettivo, come il funzionamento, e il metodo per farlo diviene il simbolismo, l’uso di figure retoriche, che lasciano spazio ad un’interpretazione soggettiva, che sia accessibile a tutti, in tal senso la comunicazione diviene marsupiale, celata. A tal proposito, tra le prime opere rilevanti di questa nuova visione citiamo il padiglione ebraico di Daniel Libeskind (fine anni ‘80), metafora di drammi e conflitti, il museo Bilbao di Frank Gehry, dal ruolo civico rilevante che fa pensare ad un ritorno del simbolo della cattedrale, il museo Chiasmo di Steven Holl, che nel nome e nella forma richiamava l’intreccio dei nervi ottici nel cervello. Il manifesto della nuova piega che l’architettura stava prendendo, risiede nella mostra del 1988 a New York, dal titolo Deconstuctivist Architecture. Il termine richiamava la filosofia decostruttivista promossa da Jacques Derrida, che stravolgeva le visioni antecedenti, dagli storici marxisti agli strutturalisti, i quali, al pari dell’ architettura moderna, promuovevano una visione del testo come insieme di meccanismi chiusi in se stesso, legato a forze politiche e produttive. Il decostruttivismo, propone una visione più aperta, tendente all’esterno, un ‘’allargamneto della percezione dell’esistere, uno spingersi oltre nella rete della conoscenza’’.
[selfportrait.]Questa evoluzione teorica, non andava a negare le altre, ma ne stravolgeva il significato, decostruire acquista senso solo con un valore convenzionale di riferimento, come nel caso della casa in stile danese a Santa Monica di Gehry, ‘’il suo essere avvolta in materiali di scarto, il suo esprimersi con forme derivate da tutt’altro mondo espressivo stravolge il significato delle icone tradizionali’’. (Architettura e Modernità, Antonino Saggio).
Comprendere l’architettura, capire il perchè del suo essere, significa contestualizzarla, quindi conoscere il ‘cerchio’ che la comprende, e i suoi confini. A tal proposito, introduciamo il concetto di ‘paesaggio’, coniato da Franco Zagari, per indicare una visione estetica condivisa, di una parte del mondo. Visione vuole intendere un atto critico, un atto interpretativo, che si muove nella sfera della soggettività**,** uno sguardo che disegna un qualcosa di nuovo, diverso**.** Il paesaggio non è natura, anzi, natura e architettura sono due oggetti del paesaggio, la natura è serva del funzionalismo, che si posa su di essa come terra di conquista. Il paesaggio segna una svolta nel passaggio da oggettivo a soggettivo, da esteriore a interiore, è strettamente correlato alla sua rappresentazione in pittura, non esiste paesaggio che non possa guardare rappresentato. Non è un concetto sempre esistito a priori, Lorenzetti è stato il primo a formalizzare un concetto che verrà poi inteso come ‘’paesaggio’’, non è dato, assoluto, è in evoluzione, è relativo e dipendente da fattori sociali. Tre attributi di ‘’paesaggio’’: rappresentazione, progetto, autorappresentazione. Affinchè una visione di una parte del mondo divenga condivisa universalmente, deve passare per una fase nebulosa, in cui l’elaborazione del pensiero non si è ancora codificata, che intendiamo con l’accezione ‘’paesaggio mentale’’. Zaha Hadid ricombina la relazione tra scena e figura, le due si mischiano e si confondono, atto impensabile in un’ottica industriale. Da lì ci vorrà del tempo perchè questa rappresentazione divenga universale. Ma da dove proviene una nuova visione del mondo, che andrà a rappresentare un paesaggio? Proviene sempre da uno strumento, suo catalizzatore. Come si puo’ pensare alla diffusione del paesaggio industriale, senza pensare alla fotografia, e poi al cinema? Lo strumento si pone come crisi, a sua volta emerge per far fronte a dinamiche del reale, rappresenta una messa a fuoco di limiti del mondo e, in un’ottica circolare, diventa mezzo per affrontarli, e sfidarli. La fotografia arriva quando Parigi è sorretta da meccanismi dinamici, e da la possibilità di guardarli da vicino, per condurre alla creazione di un paesaggio mentale. E lo strumento non è un utensile, fu definito come interpretazione dell’anima, e non come oggetto che apporta un rafforzamento di capacità fisiche. Uno strumento è il pianoforte, un utensila è la racchetta. L’informatica è lo strumento dell’attuale paesaggio mentale, che gli architetti dei nostri giorni, tentano di materializzare in architetture che lo rendano concreto, e universalmente condiviso. I caratteri del paesaggio informatico sono tre: informazione, interattività, natura. L’informazione ne costituisce la materia prima, nasce da essa come le architetture di Gropius nascevano dalle bielle, dai nastrotrasportatori. Altro fattore decisivo risiede nella similitudine che questo paesaggio ingloba, rispetto a ciò che quotidianamente si vive: gli schermi che ci circondano, la visione globalizzata, il costante dinamismo e la mutevolezza di ogni angolo. In terzo luogo una nuova visione della natura, attiva, partecipe del mondo. Prototipo di questa ondata, l’edificio Blur a Yverdon les Bains di Diller & Scofidio, mai uguale a se stesso. Muta al variare degli input esterni, e ne ribalta di nuovi. Si presenta come una spoglia ossatura metallica, che acquista il suo carattere esclusivamente al reagire delle condizioni esterne. Conseguentemente, non puo’ mancare il dialogo con la natura, il catalizzatore dell’edificio, la stessa dalla quale gli input provengono tenendo in vita l’opera, la stessa sulla quale gli output vengono rigettati, delineando nell’insieme un’immagine complessa ricca di significato.
[Il paesaggio mentale, Antonino Saggio.]Le tre ondate dei processi di produzione citati da Alvin Toffler, lasciano spazio alla delineazione di tre parallele ondate per l’architettura, sulla base di analoghi ragionamenti fatti per i processi produttivi. La prima ondata dell’architettura la identificheremmo con quella Umanistica (1450), la seconda con l’architettura **Moderna (**1925), la terza con l’architettura Informatica, la fase dei nostri giorni. Dato quanto esposto durante le lezioni precedenti, la fase che stiamo vivendo è in corso di attuazione e definizione, e i ‘’nati con il computer’’ hanno il dovere oggi di affrontare nuove sfide affermando un nuovo concetto di prodotto architettonico, che risponda alla crisi che ha generato questa nuova ondata. Ma come avviene il passaggio da un’ondata all’altra? Come si afferma una nuova concezione che sia risposta ad un mondo diverso? Per rispondere alla domanda analizziamo il processo che ha portato all’affermazione dell’archittettura moderna agli inizi del ‘900. Ci sono voluti circa 120 anni perchè si delineasse una nuova architettura manifesto, a partire dal momento in cui si rese necessario affrontare una nuova sfida: la Rivoluzione Industriale e la nascita di un nuovo mondo da controllare. Questo perchè non è un processo automatico, ma frutto di una serie di influenze e piccoli passi avanzati in altri ambiti, al passare degli anni, che ha poi reso automatico l’affermarsi di una nuova cultura. In primo luogo, importante fu l’influenza che ha avuto sulla nascita di un nuovo movimento, la nascita degli istituti Politecnici con Napoleone, per cui la materia edile, non era più studiata nelle Accademie delle Belle Arti, quindi legata al mondo delle scienze esatte, prendendo le distanze dal puro ornamento e decorazione della corrente Umanistica. In particolare, una corrente di progettisti, che avranno rilevanza negli anni a venire, erano i ‘’tipologhi’’ (Ledoux, Durand, Boullèe), per i quali il punto della questione diveniva la sostanza organizzativa, lo studio dei tipi edilizi, a partire dall’impianto planimetrico. In secondo luogo, non mancano da affrontare le conseguenze della Rivoluzione Industriale, che si traducono nella nascita di nuove sfide: ferrovie, ponti, necessità di grandi luci, nuovi materiali. E’ qui che nasce la figura dell’ ingegnere, personalità innovatrice, progressista, inventrice, che pone in ombra le questioni dell’architettura, che prima tendeva ad occuparsi anche di questioni decorative. In America questo passaggio avviene più rapidamente dato l’incendio di Chicago che aveva necessariamnte mosso verso un’accelerazione delle dinamiche tecnologiche. E’ lì che nascono le strutture in acciaio, modulari, di altezze notevoli e coperte da pelli a cortina che imitavano i tipi neoclassici. Grande svolta in questo senso l’ Intervento di Louis Sullivan, che affermò per primo l’organicità tra forma e funzione: ‘’Forma segue Funzione’’. Questo luogo di contraddizioni tra Ingegneria e Architettura, che si manifesta nel campo ferroviario, rimane evidente anche nei prodotti edilizi, in particolare la stazione di Milano, ma sfocierà in seguito nella definizione di un tipo di architettura che sarà quella Moderna. Emblematica in questo senso è la stazione di Firenze, prima stazione moderna al mondo, inserita in un nodo urbanistico per cui penetra la città e si fa penetrare. Per quanto riguarda la questione architettonica, l’800 non era stato caratterizzato da uno stile in particolare, si tendeva ad imitare forme precedenti o di altre regioni (stile eclettico). Verso la fine del secolo però si diffonde uno stile unitario in tutto il mondo, che viene differentemente chiamato, ma ha caratteri comuni, che riguardano l’utilizzo di materiali nuovi, e l’affusolamento delle forme con richiami floreali. Si diffonderà ovunque, e permeerà tanti aspetti, influenzando notevolmente la visione moderna. Importante in questa direzione, la figura di William Morris, e il movimento Arts & Crafts, che si poneva in atteggiamento anti-industriale, promuovendo l’artigiato anche come forma di questione sociale. Parallelo a questa forma di pensiero, nel mondo delle arti, prende piega il Movimento Impressionista. A proposito della visione estetica di quegli anni, vigeva la visione Impressionista, rivoluzionaria. Tra questi però spicca la figura di Paul Cezanne, impressionista per definizione, ma con caratteri particolari. Si pone in una continua contraddizione tra la frammentarietà, il chiaroscuro, e la definizione di volumi, che influenzeranno il cubismo nei primi anni del ‘900. Questa visione estetica aprospettica, astratta, dinamica, frammentaria, si tradurrà nell’architettura moderna. Tutti questi elemnti, furono quei pezzi che andranno a comporre la visione moderna, che si concretizzerà sulla scia di una spinta sociale non indifferente. Nei primi anni del ‘900 si assisteva a tutte le risposte sociali della Rivoluzione Industriale, inurbamento, cambiamento del modello produttivo, rivolte del proletariato, tensioni sociali, nuove esigenze dell’architettura.
Analizziamo nei dettagli la visione e il paesaggio mentale che sta alla base del Bauhaus di Dessau , in relazione alle epoche precedenti, per porre le basi di una migliore comprensione del paesaggio attuale. Il Bauhaus è il primo edificio che incorpora un cambio di paradigma, che identifichiamo con la seconda ondata dell’architettura, parallelamente alle tre ondate che Toffler aveva definito per i processi di produzione. La prima ondata la identificheremmo nel paradigma umanistico (1450), la terza corrisponderebbe al paesaggio attuale. Per esaminare l’edifcio e la sua natura, e fornendo un efficace parallelismo tra le tre ondate, per comprenderne le evoluzioni e le motivazioni che le hanno generate, prendiamo a riferimento sette parametri: programma, costruzione, idea di città, espressione, metodo, visione, catalizzatore. PROGRAMMA: l’architettura umanistica, nasceva per scopi celebrativi (’’esisto in quanto rappresento’’), il Bauhaus si inserisce in un contesto avanzato, in un contesto in cui l’architettura non è più così elitaria, ha scopi sociali, è fatta per i cittadini, esiste in quanto funziona, e il suo perchè risiede in una gran varietà di motivazioni che non riguardano una pure rappresentazione di un qualcosa. COSTRUZIONE: L’architettura moderna si sviluppa in un contesto rivoluzionario, di avanzamenti tecnologici e produttivi, che ne consentono il suo ‘svuotamento’, la sua struttura scheletrica, che non ha più la massività e la solidità dell’architettura umanistica. IDEA DI CITTA’: L’architettura, nei tempi più remoti, si adattava di conseguenza alla forma della città come già delineata, precipitando in un contestualismo che vedeva gli edifici assumere la forma dei lotti in cui si emergevano, il Bauhaus, nelle sue forme, attraversa e oltrepassa i confini imposti dalla città, si trattava di una visione funzionalista, per cui la forma è espressione della sua funzione, ed è quest’ultima a governare ogni scelta. ESPRESSIONE: Per motivazioni dovute a ragioni strutturali, ma anche funzionali, l’immagine che deriva dall’edificio moderno, è frammentaria, fatta di parti, non per forza coese, che non hanno niente a che vedere con l’ unitarietà e la solidità che trasmetterebbe un’edificio dell’epoca umanistica. METODO: Riguarda strettamente il rapporto tra forma e funzione, che in un’ottica razionalista, funzionalista, come quella moderna, diviene necessariamente univoco, la forma è ridotta esclusivamente a pura manifestazione della funzione (e non viceversa). VISIONE: Sempre in una visione funzionalista, possiamo aspettarci che qualunque scelta mossa da ragioni formali venga eliminata, l’edificio diventa una scatola posata sul suolo, nella quale la differenziazione visiva tra elemento ed elemento cessa di esistere, perchè non serve, e la produzione in serie lo consente, e lo scheletro in calcestruzzo armato anche. In Palazzo Farnese ogni elemento è distinguibile, la finestra, il solaio di copertura, il basamento, talvolta messo in evidenza con una finitura differenziata. CATALIZZATORE: Le innumerevoli differenze delle due architetture, possono ricondursi tutte ad un’unico elemento, il loro catalizzatore, che muove e genera ogni scelta che ne sta alla base: la prospettiva, per l’architettura umanistica, la trasparenza, per l’architettura moderna.